“Ho studiato. Per venire a questa conferenza, ho studiato davvero”.
Franco Arminio mostra una decina di fogli scritti fitti, poi li mette da parte. Non li toccherà più, andrà a braccio tutta la sera, in compagnia del suo maestro Gianni Celati e del pubblico che affolla il cinema Astra di Misano, per il terzo appuntamento con la rassegna ‘Ritratti d’autore’.
Sono passati due anni dalla morte del grande ‘narratore di pianura’ e, oggi che “il dialogo coi morti si è un po’ interrotto, e mi chiedo perché”, Arminio ci conduce per mano, come se il suo maestro fosse al suo fianco, o fosse presente in sala.
“In fondo noi che ne sappiamo? In un soffio di vento potrebbe esserci un nostro caro defunto, o in un rumore di foglie…”.
Basta saper guardare, lasciarsi meravigliare. Quello che facciamo sempre più fatica a fare, tutti piegati sui nostri indispensabili cellulari, senza accorgerci della meraviglia che ci circonda.
Guardare una rosa, piuttosto che una vecchia buchetta delle lettere, ormai quasi priva di utilità.
Guardare le persone nei paesi deserti del sud, dove Franco Arminio vive, e che ci mostra in una serie di foto scattate dal periodo della pandemia, seguendo la poetica del fotografo Luigi Ghirri, che di Celati era grande amico.
Ogni cosa ha la sua bellezza e perfino un ombrello abbandonato in mezzo alla piazza deserta, in pieno lockdown, può diventare un amico.
“Io guardo ogni cosa come se fosse bella, e se non lo è, vuol dire che devo guardare meglio”. È forse questo il manifesto della poetica di Arminio, che tanto deve al suo maestro Celati, che passava due ore al giorno a camminare e guardare le persone e le cose, soprattutto le più semplici, in una “ispezione del visibile”. In Arminio questa ispezione diventa anche un “turismo della clemenza”, secondo la sua stessa definizione.
Un guardare le persone sole, gli anziani ai giochi per bambini, seduti magari su uno scivolo, i negozi dalle vetrine vuote, le case con le finestre rotte e le porte murate. E poi le pecore, le capre, che possono diventare anche spettatori di improvvisati e divertenti comizi del poeta di Bisaccia (vedi: https://www.youtube.com/watch?v=2Nrz1mO9Vf4). Insomma gli ultimi, quelli che nessuno guarda.
Che scarto tra questo mondo degli ultimi e quello della “simulazione globale, senza luogo, senza scampo”, rappresentato dal suo ritorno a Parigi, dopo il viaggio in Senegal, che Celati racconta concludendo il suo ‘Avventure in Africa’ (Ed. Feltrinelli), che riproponiamo qui:
“Andiamo in giro per Parigi e vediamo soltanto ques’altro documentario del nuovo totale, senza più niente di precario, di povero, decaduto, rimediato, tarlato dal vento, scartato dal destino. È il documentario della simulazione globale, senza luogo, senza scampo, che ci mostrano a titolo pubblicitario notte e giorno, dietro lo schermo di vetro che abbiamo in dotazione per vivere da queste parti. Ma poi si sa che quando uno è lasciato dietro un vetro, tende a sentire che gli manca qualcosa, perché uno potrebbe anche accorgersi di non aver bisogno davvero di niente, tranne del niente che gli manca davvero, del niente che non si può comprare, del niente che non corrisponde a niente, il niente del cielo e dell’universo, o il niente che hanno gli altri che non hanno niente”.
Alessandro Caprio